In attesa che le parti possano efficacemente tornare a miti consigli, l’ultima stretta deliberata dell’amministrazione Trump sulle tariffe relative all’import cinese è entrata ufficialmente in vigore poche ore fa, aumentando (almeno, in linea potenziale) i prezzi che gli americani pagano per alcuni vestiti, scarpe, articoli sportivi e altri beni di consumo.
Le nuove imposte di Trump
Le imposte, nella misura “aggiornata” al 15%, si applicano a circa 112 miliardi di dollari di importazioni dal Paese asiatico, andando così a interessare più di due terzi dei beni di consumo che gli Stati Uniti acquistano dalla Cina e, soprattutto, finendo con il coinvolgere duramente anche i beni di consumo, che nei primi cicli di aumenti tariffari l’amministrazione a stelle e strisce aveva volutamente e opportunamente evitato di toccare.
Le ripercussioni potrebbero essere varie, e gravi. Con i prezzi di molti beni al dettaglio che potrebbero subire un aumento, infatti, la mossa dell’amministrazione Trump corre il rischio di minacciare il principale motore dell’economia statunitense, la spesa al consumo, in un contesto che peraltro ha già prestato il fianco a ben più di qualche malumore e perplessità. E così, mentre le imprese frenano la spesa per gli investimenti e le esportazioni rallentano di fronte alla debole crescita globale, gli acquirenti americani potrebbero giocare un ruolo più debole rispetto al loro solido perno economico.
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Per averne consapevolezza è sufficiente dare uno sguardo a quanto accaduto nelle scorse settimane, quando – come risultato delle tariffe più alte deliberate da Trump – molte aziende locali hanno già avvertito che saranno costrette a trasferire sui loro clienti i prezzi più elevati che si troveranno a dover pagare sulle importazioni cinesi. Naturalmente, alcune aziende possono decidere di assorbire i costi più elevati piuttosto che aumentare i prezzi per i loro clienti, ma ciò le esporrebbe a un’erosione dei propri margini, con conseguente necessità di recuperarli da altre parti (riduzione dei posti di lavoro?).
Come se quanto sopra non fosse sufficiente, rileviamo come il 15 dicembre l’amministrazione si troverà davanti a un nuovo bivio: rispettare o meno la seconda tornata di tariffe del 15%, che questa volta interesseranno circa 160 miliardi di dollari di importazioni. Se tali dazi entreranno in vigore, tutte le merci importate dalla Cina saranno coperte dalle extratariffe.
Ad ogni modo, buona parte del mercato ritiene che sebbene l’amministrazione Trump sia bloccata in una guerra commerciale con la Cina da oramai più di un anno, le cose miglioreranno nei prossimi round negoziali. Se così non fosse, i cittadini statunitensi potrebbero trovarsi a pagare un prezzo salatissimo: un recente studio condotto da J.P. Morgan ha ad esempio calcolato che le tariffe di Trump costeranno a una famiglia media negli Stati Uniti circa 1.000 dollari all’anno, da rivedersi in deciso rialzo ora che la Casa Bianca ha sollevato le tariffe del 1 settembre al 15%.
Insomma, le tariffe cinesi potrebbero rappresentare una tradizionale arma a doppio taglio: sebbene saranno certamente strumento utile per poter negoziare con un maggior ruolo di forza nei confronti di Pechino, potrebbero indebolire un’economia statunitense già in rallentamento. Anche se la spesa dei consumatori è cresciuta nell’ultimo trimestre al ritmo più veloce degli ultimi cinque anni, l’economia nel suo complesso si è espansa ad un modesto tasso annuo del 2%, in calo rispetto al 3,1% dei primi tre mesi del 2019. L’economia è inoltre prevista rallentare ulteriormente nei prossimi mesi a causa del contenimento della crescita del reddito, del ritardo delle imprese nel compimento dei propri investimenti e dell’aumento dei prezzi delle tariffe che deprimerà la spesa dei consumatori. Le imprese hanno già ulteriormente ridotto la spesa per investimenti futuri, e le esportazioni sono calate in un contesto di crescita globale più lenta.
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Insomma, un mix non proprio idilliaco che, peraltro, non ha tardato a pesare sul sentimento dei consumatori statunitensi, diventati più pessimisti alla luce della guerra commerciale, con l’indice di fiducia calcolato dall’Università del Michigan che è ai minimi da dicembre 2012.
La risposta della Cina
Peraltro, concludiamo, in risposta alle mosse di Trump la Cina poco fa ha scelto di imporre tariffe aggiuntive su 75 miliardi di dollari di merci statunitensi. Le tariffe supplementari del 5% e del 10% sono state imposte su una target list di oltre 1.700 articoli (su un totale di 5.078 prodotti originari degli Stati Uniti potenzialmente aggredibili). Dal 15 dicembre è prevista una nuova stretta anche se, come abbiamo già sottolineato, l’auspicio è che per quella data si possano trovare delle intese.