Prezzi petrolio in calo, ma il mercato energetico rimane turbolento

Come avevamo previsto, i prezzi del petrolio sono in calo, dopo il boom di ieri, con un parziale ritracciamento degli effetti cui abbiamo assistito negli ultimi giorni, ovvero da quando uno dei principali impianti petroliferi del mondo è finito sotto attacco. Tuttavia, quanto sopra non significa affatto che il mercato abbia dimenticato le recenti turbolenze: è anzi lecito rammentare come gli operatori rimangano sulle spine, attirati dalle minacce di una risposta militare agli attacchi alle strutture petrolifere dell’Arabia Saudita, che hanno dimezzato la produzione di greggio del Regno, provocando un picco dei prezzi che per la sua incisività (+ 20%) non si vedeva da decenni.

In altri termini, gli attacchi di sabato hanno aumentato la prospettiva di un forte shock dell’offerta in un mercato che negli ultimi mesi si è concentrato sulle preoccupazioni della domanda in calo, a causa della pressione sulla crescita globale favorita dalla nota disputa commerciale USA – Cina. L’Arabia Saudita è il primo esportatore mondiale di petrolio ed è stato il fornitore di ultima istanza per decenni, garantendo spesso, con il suo bilanciamento, un equilibrio internazionale.

Prezzo del petrolio in calo

Mentre scriviamo il greggio Brent è sceso di 36 centesimi, pari allo 0,5%, a 68,66 dollari al barile, rispetto  al valore di ieri, mentre il West Texas Intermediate è sceso di 57 centesimi, pari allo 0,9%, a 62,33 dollari al barile.

Ricordiamo invece che nella giornata di ieri i prezzi sono saliti di quasi il 20% nel trading infra-giornaliero in risposta agli attacchi di cui sopra, per il più grande balzo in alto degli ultimi 30 anni, salvo poi chiudere la sessione a un più modesto – ma notevole – + 15%, ai massimi di quattro mesi.

Ad ogni modo, è presto per poter capire quali saranno gli effetti duraturi sul mercato dell’energia. Molto verrà probabilmente detto dal ministro dell’energia saudita Prince Abdulaziz bin Salman nella conferenza stampa di questa sera, con il produttore statale Saudi Aramco che ancora non ha fornito un calendario specifico per la ripresa della piena produzione.

Con tutti gli occhi che saranno puntati sulla conferenza stampa saudita, è molto probabile che il rappresentante del governo saudita non vorrà deludere le attese, fornendo almeno una stima di valutazione dei danni, e tracciando un piano di recupero che possa far comprendere quanto tempo passerà prima che si ritorni alla normalità.

Gli attacchi agli impianti di lavorazione del greggio della Saudi Aramco ad Abqaiq e Khurais hanno ridotto la produzione di 5,7 milioni di barili al giorno, mettendo così in discussione lo status saudita di fornitore di riferimento globale (gli Stati Uniti producono più greggio ma, sostanzialmente, lo fanno non per export, bensì per consumi interni).

Le preoccupazioni del mercato

Allo stato attuale delle cose, i mercati finanziari non sembrano essere preoccupati sul presente, quanto sul futuro. Gli attuali livelli elevati delle scorte significano infatti che non c’è una effettiva carenza di approvvigionamento, ma il problema sorgerebbe nel caso di una ulteriore escalation, che richiederebbe un premio di rischio sostanziale sul prezzo del petrolio.

Insomma gli occhi vengono puntati sulle principali parti in causa che, purtroppo, non sembrano essere in procinto  di rasserenarsi. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha detto che l’Iran potrebbe essere dietro gli attacchi, ma ha sottolineato che non desidera sposare opzioni militari. Teheran ha respinto le accuse bollando le dichiarazioni degli Stati Uniti come particolarmente offensive.