Secondo una recentissima osservazione condotta da Bloomberg, gli analisti sul petrolio prevedono che i prezzi del greggio potrebbero crescere tra i 5 e i 10 dollari al barile dopo che uno sciopero su uno degli impianti “chiave” per la produzione internazionale di petrolio ha dimezzato la produzione in capo all’Arabia Saudita, nuocendo a circa il 5% dell’offerta complessiva mondiale.
Ricordiamo che l’Arabia Saudita ha perso circa 5,7 milioni di barili al giorno di produzione dopo che sabato scorso diversi droni hanno colpito il più grande impianto di lavorazione del greggio del mondo ad Abqaiq, e il secondo più grande giacimento petrolifero del Regno, a Khurais. Secondo persone vicine alle autorità saudite, potrebbero volerci alcune settimane per ripristinare il normale livello di produzione. L’amministrazione Trump è pronta a dispiegare le riserve petrolifere di emergenza del Paese e ad aiutare a stabilizzare i mercati, se necessario.
Leggi anche: Fai trading online sul petrolio con i migliori broker!
Già la scorsa settimana, ancor prima degli attacchi all’impianto saudita, il petrolio aveva perso il 2,1% a Londra a 60,22 dollari al barile, e il 3% a New York a 54,85 dollari al barile, sulla scia delle emergenti preoccupazioni secondo cui il rallentamento della crescita della domanda avrebbe potuto far scaturire un altro eccesso di offerta. Naturalmente, ora tutto è cambiato.
Alcuni analisti rammentano ad esempio che i mercati non stanno più prezzando in maniera rilevante alcun rischio geopolitico, considerato che i trader sono focalizzati esclusivamente sui dati macro economici e sugli aspetti commerciali. Tutti concordano invece sul fatto che i prezzi aumenteranno, almeno inizialmente, e che l’incremento dipenderà dalla effettiva durata dell’interruzione dei livelli produttivi ordinari. L’Arabia Saudita ha milioni di barili immagazzinati in tutto il mondo, che possono ben prelevare per sostituire la produzione perduta e un rally potrebbe anche essere mitigato nel caso in cui, come sembra, gli Stati Uniti e altri Paesi erogheranno una parte delle loro riserve strategiche di petrolio per alleviare il deficit.
Tuttavia, gli effetti sul prezzo ci saranno, almeno nel brevissimo termine. Anche perché, al di là del fatto che si riuscirà a compensare il calo di offerta, gli eventi del fine settimana scorso hanno mostrato la vulnerabilità degli impianti petroliferi nel Medio Oriente e, questo, in fin dei conti, potrebbe costituire l’aspetto più duraturo di quanto avvenuto.
Tornando a quanto accaduto, alcuni osservatori, come gli esperti di ClearView Energy Partners LLC, stimano che ci sarà un potenziale aumento dei prezzi di 10 dollari al barile, prevedendo una chiusura di tre settimane dell’impianto. Se i danni dovessero rivelarsi particolarmente estesi e l’interruzione si dovesse prolungare, le cose potrebbero tuttavia farsi ancora più significative.
Insomma, per i trader sarebbe opportuno tenere in considerazione che il petrolio potrebbe diventare subito più caro, ma per poter comprendere che piega assumeranno le quotazioni del greggio bisognerà attendere l’aggiornamento di Aramco, che arriverà nelle prossime 48 ore. Tra i vari indicatori di riferimento del petrolio, inoltre, è ben possibile che il Brent possa aumentare più del West Texas Intermediate, in quanto il potenziale di rilascio dalla Strategic Petroleum Reserve e la crescente produzione interna potrebbe limitare il benchmark statunitense.