Negli ultimi giorni, gli occhi del mondo sono concentrati su un unico tema: l’invasione turca nella zona siriana di etnica curda. Una situazione potenzialmente esplosiva, che ha messo sull’attenti tutti i vertici delle più importanti realtà internazionali. A criticare apertamente Ankara, in primis, sono stati i maggiori paesi dell’Unione Europea, con Germania, Italia e Francia che hanno parlato, apertamente, di possibili forti sanzioni nei confronti della Turchia, a partire dal blocco della vendita delle armi. Affermazioni, però, che al momento non vengono supportate dai fatti, dato che, al di là delle prese di posizione, non sono susseguiti atti concreti.
Pugno duro di Washington con Ankara: quali sono le sanzioni?
Diverso è il discorso, invece, per quanto riguardo gli Stati Uniti, nonostante la Turchia sia uno dei più importanti alleati all’interno della NATO. Dopo giorni di dichiarazioni e mosse spiazzanti, come ritirare le proprie truppe dal nord della Siria lasciando i curdi in completa balia dell’assalto delle forze di Erdogan, l’amministrazione a stelle e strisce ha mostrato il pugno duro dal punto di vista economico e finanziario.
E le sanzioni comminate ad Ankara, sono state decisamente pesanti. Gli uomini di Trump, infatti, hanno deciso di sanzionare fortemente tre ministri turchi, oltre ad avere rialzato i dazi sull’acciaio del 50% ed interrotto negoziati commerciali, dal valore superiore ai 100 miliardi di dollari, relativi all’esportazione di prodotti turchi verso gli Stati Uniti.
Se da un lato, quindi, Washington decide di non ostacolare, sul campo, l’invasione dei militari turchi, dall’altro si cerca di imporre il “cessate il fuoco” infliggendo severe punizioni dal punto di vista economico. La speranza, come dichiarato dal vice-presidente americano, Mike Pence, è quella di arrivare ad un armistizio e porre fine alla grave crisi umanitaria che imperversa in tutta la parte settentrionale della Siria. E le sanzioni economiche, probabilmente, potrebbero rivelarsi propedeutiche a far recedere Erdogan dalla sue intenzioni.
Una situazione che, inevitabilmente, ha avuto ripercussioni sui mercati finanziari dove sono allocati i titoli di matrice turca: dall’inizio del mese di ottobre, infatti, la Borsa di Istanbul ha perso oltre il 10%, mentre la lira turca si è svalutata di oltre il 4% rispetto al dollaro. Le cose, per quanto ovvio, non vanno certamente meglio sul lato del debito sovrano: il decennale turco è schizzato al 15,18%, mentre il biennale rende addirittura il 15,44%. Ed in finanza, com’è noto. quando le scadenze brevi offrono un rendimento maggiore rispetto alle più lunghe, gli scenari non si prospettano rosee. Tutt’altro.
Quali sono gli scenari se le tensioni geopolitiche si inasprissero?
Numeri che fanno impallidire gli investitori, al punto che molti di essi, piuttosto che investire ulteriori somme su questi titoli, hanno paventato l’ipotesi di sfidare la fortuna effettuando puntate in tutti i casino on line legalmente riconosciuti, dov’è possibile concedersi qualche ora di svago, lontano dalla frenesia dei mercati finanziari, in sicurezza ed assoluto relax.
Il futuro dei titoli di stato turchi, di conseguenza, è appeso ad un filo. Il tweet di Trump, che si è dichiarato “pronto a distruggere l’economica di Ankara”, ha spaventato i mercati fino ad un certo punto: il presidente americano, infatti, è solito esagerare nel tono delle esternazioni, in modo da appagare il sentimet di una parte del proprio elettorato ultranazionalista. L’incertezza, tuttavia, regna sovrana, specie se Erdogan dovesse proseguire, imperterrito, nelle proprie intenzioni belliche.
Uno scontro frontale fra USA e Turchia viene escluso da più parti: Ankara è un alleato della NATO, con forti presenze in svariate basi militari della stessa. Qualora il confronto si inasprisse, però, la situazione potrebbe degenerare, con la Lira turca in grado teoricamente di svalutarsi significativamente nei confronti del dollaro e rimandare il paventato taglio dei tassi da parte della Banca Centrale turca. Un evento quest’ultimo, favorito da una inflazione più blanda rispetto agli ultimi anni, che potrebbe creare un rally particolarmente invitante per i detentori dei titoli di stato turchi, ma che rischia di essere inficiato nel caso in cui le tensioni geo-politiche dovessero prendere il sopravvento.